Le “Otto montagne” “è un film che parte da lontano.
La storia d’amore che ha coinvolto i registi belgi, Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch nasce nell’estate 2019, con la coppia in viaggio verso il Sud Italia che riceve un invito dall’alta Val d’Ayas, fa inversione di marcia e arriva sulle Alpi, sulle montagne della Valle d’Aosta.
Il lavoro della Film Commission
Un film, Le “Otto montagne“, Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes, che è un po’ il coronamento del lavoro di una Film Commission.
«La prima volta che ci siamo incontrati è stato a Estoul, al Pranzo di Babette, a un tavolino, davanti a una birra…» ricorda Paolo Cognetti, autore del romanzo vincitore del Premio Strega 2017. «…Poi due birre, poi una polenta concia» aggiungono i registi.
Il loro è stato un lavoro lungo, si sono trasferiti in Valle d’Aosta per otto mesi e l’hanno esplorata in lungo e in largo per poi decidere di tornare lì, sui luoghi del romanzo.
La scelta di Felix
«Forse il posto in cui siamo tornati più spesso è stato il lago di Frudière, nel vallone di Graines, quello è il lago del mio romanzo dove c’è la barma originale, ci siamo andati d’estate, d’autunno, lo abbiamo visto ghiacciato, con la neve, in tutte le stagioni – racconta Cognetti -, solo la casa non è quella vera, la scelta di Felix è diversa, desiderava per quella casa un luogo dove ci fosse tanto cielo mentre la barma originale è un po’ chiusa, ma l’abbiamo trovata nell’alpeggio sopra la conca dei laghi di Palasinaz che adesso secondo me diventerà un po’ un luogo di pellegrinaggio…».
«Anche per noi è stato strano vedere tantissimi luoghi e alla fine di tornare da dove eravamo partiti – aggiunge Van Groeningen -, ma questo fa sì che tutto funzioni. Si crede, si sente che tutto è legato, che da Grana si può salire all’alpeggio e che la barma è appena sopra, se nel film la montagna funziona è per questo legame».
Le “Otto montagne”: un film artigianale
Una delle peculiarità di questo lavoro, fa notare Alessandra Miletto, direttrice di Film Commission Vallée d’Aoste, è che mentre solitamente la produzione lascia un cratere, spogliando spesso il luogo che occupa per le riprese, qui si è lasciato tanto. Si è ricostruita davvero la baita diroccata, si è risistemata la vecchia scuola di Graines che nel film diventa la casa di vacanza di Pietro e della sua famiglia, utilizzando -grazie anche alla produzione (Wildside, Rufusu, Menuetto, Pyramide Productions, Vision Distribution) che non ha portato da Roma le sue squadre-, muratori, falegnami e manodopera locali, cosa che fa di questo film un’opera davvero artigianale.
«Esiste un luogo che è un posto molto specifico dove vive della gente vera – osserva Simone Gandolfo, presidente di Film Commission Vda – e si fa un film per fare in modo che quel luogo vada nel mondo. Molto spesso purtroppo succede che le persone su cui si è fatto il film non si riconoscano perché c’è una lente in mezzo e il miracolo secondo me di questo film è invece che le persone di cui parla e che lo hanno fatto, si riconoscono».
Una porta su un mondo
«È stato molto bello entrare come famiglia in questo mondo, abbiamo potuto conoscere gli amici di Paolo, le persone importanti della storia, i luoghi, il modo in cui le persone si guardano, si parlano… – dice Charlotte Vandermeersch –. Anche gli attori, sono entrati in questo mondo, si sono sentiti accolti».
«Anche il fatto che le persone del paese abbiamo aiutato, lavorato sul film, ha permesso una buona contaminazione» aggiunge il compagno Van Groeningen.
«Io mi sentivo il portiere di questo mondo, della montagna che abito ormai da quindici anni. Sono arrivate queste persone, io ho aperto la porta, e dentro c’erano altre persone che l’abitavano ancora più di me, io ero quello che li ha accolti e questo mi ha riempito d’orgoglio» svela Paolo Cognetti che, oltre ad aver scritto il romanzo, ha curato i dialoghi ed è stato il consulente artistico del film, trovando contatti, agganci, soluzioni e facendo da tramite con le persone del posto.