Monte Isola con gli occhi delle api

Di Pierre Archetti e Claudia Ferretti

Nel centro del lago d’Iseo si incontra Monte Isola. Un territorio montano circondato dalle acque ai piedi delle Alpi. Qui il clima e le tradizioni agricole dell’uomo hanno permesso lo svilupparsi di una grande varietà di specie vegetali che colorano il paesaggio dell’isola e sfamano numerosi impollinatori con i loro fiori.

Pierre Archetti, apicoltore e studente di Scienze Agrarie e Forestali cresciuto e vissuto a Monte Isola racconta la biodiversità vista con gli occhi delle api.

Monte Isola sul Lago d’Iseo

Cosa si nasconde dentro un prato

Ogni prato è un grande ecosistema in cui insetti e vegetali collaborano e vivono insieme in un rapporto intimo e privilegiato: la pianta dà all’ape nutrimento con il suo polline e il suo nettare e l’ape permette alla pianta di riprodursi portando il polline da un fiore all’altro.

Entrambe traggono vantaggio una dal lavoro dell’altra, senza danneggiarsi e aiutandosi. Le api infatti non distruggono i fiori quando vanno a bottinare e così le piante non fanno del male alle api, ma donano un cibo ricco di nutrienti.

Quando si viene a Monte Isola e si vede un prato si può pensare allora a tutta la vita in miniatura che vive in esso, ai meccanismi che regolano la sua biodiversità e la storia che lo ha fatto nascere e lo ha portato fino a noi.

Come nasce un prato

I prati che osserviamo oggi sono frutto del duro lavoro svolto dalla popolazione dell’isola nel corso dei secoli. Come ovunque in Italia, l’uomo nel corso del tempo ha modificato l’ambiente attorno a sé per poter svolgere le attività utili alla propria sopravvivenza secondo i modelli economici delle diverse epoche. Un tempo la Pianura Padana, ad esempio, era ricoperta di foreste e paludi che poi sono stati disboscati e bonificati per permettere all’uomo di coltivare grano e cereali.

Monte Isola si trova nel Lago d’Iseo, è abitata già dall’epoca romana e la sua economia si è basata in passato sulla pesca, sull’allevamento e sull’agricoltura di sussistenza.

In tutto questo tempo i nostri avi fecero un’opera immane, disboscando parti dei boschi che coprivano l’isola, tagliando alberi e sradicando con rudimentali attrezzi le ceppaie (un compito che oggi si svolge a fatica anche con strumenti motorizzati), togliendo la maggior parte delle pietre grosse e spianando la terra per creare i prati e i pascoli.

Le fonti indicano che già nel IX secolo d.C. a Monte Isola esisteva un sistema di agricoltura e allevamento amministrato dal monastero di Santa Giulia, che all’epoca aveva molti possedimenti terrieri sull’isola.

Questi prati e questi pascoli, così come gli alberi mantenuti e introdotti nel corso dei secoli, sono ora il patrimonio della biodiversità che caratterizza Monte Isola.

L’uomo e la biodiversità di Monte Isola

Prati e pascoli sono ecosistemi creati e gestiti dall’uomo, che se ne prende cura e fa in modo che siano sempre ricchi di vegetazione.

Su due metri quadrati di prato possiamo incontrare dalle 50 alle 100 specie vegetali diverse e insieme a tantissime altre specie di animaletti e insetti.

Questi ambienti così ricchi di vita prosperano specialmente quando l’uomo se ne prende cura. Nei prati, terreni creati per la fienagione, i contadini si preoccupano di far crescere al meglio le erbe per poi falciare e raccogliere paglia e fieno che servono per alimentare gli animali. Nei pascoli invece sono le bestie che concimano e puliscono il terreno dalle piante infestanti.

Questo tipo di agricoltura di sussistenza fa sì che la vegetazione cresca ricca e sana, a differenza dei sistemi intensivi che invece impoveriscono il terreno.

La conformazione fisica e la vocazione storica di Monte Isola hanno portato i suoi abitanti a sviluppare un sistema agricolo semplice, adatto a supportare le poche necessità dei montisolani che vivevano di pesca, allevamento e di quanto sapevano ricavare dalla terra scoscesa del monte.

Prati e pascoli si alternavano a terrazzamenti e coltivazioni di ulivi e alberi da frutta: sotto gli ulivi venivano spesso piantate le viti e sotto le viti, il grano e gli orti.

L’irrigazione e il fluire dell’acqua sui fondi agricoli era controllata dall’uomo che puliva i terreni dalle pietre, li proteggeva con i muretti a secco e li irrigava con un sistema di pozzi.

Le monoculture e l’agricoltura intensiva qui non sono mai arrivate e questo ha permesso di mantenere un terreno ricco, vivo e non compattato sotto il peso dei grandi macchinari agricoli. Sull’isola la pedoflora e la pedofauna prosperano e lavorano rigenerando il terreno, arricchendolo e lavorandolo. I lombrichi sono come dei piccoli aratri naturali che, scavando piccole gallerie, ribaltano piccolissime zolle verso l’alto mangiando i minerali e nutrendolo con i propri scarti. Se si presta attenzione, passeggiando è possibile osservare i piccoli grumi di terra in superficie che segnalano la presenza di questi instancabili minatori.

Alveari a Monte Isola

Il microclima di Monte Isola

Monte Isola ha una biodiversità ricca e particolare poiché si trova in territorio prealpino al centro di un grande lago che mitiga le temperature in inverno e le rinfresca in estate. La vegetazione tipica è quella collinare e di bassa montagna prealpina, ma il clima, mite in inverno e fresco in estate, ha reso questo territorio un habitat perfetto anche per molte specie mediterranee come la ginestra e il leccio.

Questo microclima tipico dei laghi prealpini ha permesso la coltivazione di piante esotiche decorative, ma anche produttive, come l’ulivo e la vite, che sono divenute colture tradizionali per la popolazione locale, tanto che oggi uno dei prodotti tipici dell’isola è proprio l’olio extravergine. Questi territori, nei secoli scorsi, erano delle vere e proprie nursery per la coltivazione delle piante esotiche e dei luoghi di sosta per quelle importate che avevano bisogno di acclimatarsi prima di essere inviate nei giardini storici dell’entroterra.

Monte Isola è quindi ricca di fiori per la maggior parte dell’anno e questi colorano il suo paesaggio rendendolo caratteristico, tanto che la festa più rinomata dell’isola è appunto la Festa dei fiori (la Festa di Santa Croce), in cui, ogni cinque anni, ogni strada, ogni casa, finestra e balcone dei borghi di Carzano e Novale vengono decorati con migliaia di fiori di carta fatti a mano dalle donne del luogo.

La biodiversità con gli occhi degli impollinatori

A Monte Isola vivono molte specie di impollinatori e molti impollinatori vogliono dire molti fiori. Ma non solo in quantità, anche in qualità. Infatti ogni specie di insetto predilige alcune specie di fiori piuttosto che altre.

Nel mese di maggio in particolare, è possibile incontrare tantissime specie di farfalle e molte specie di api e di bombi.

Le api più comuni sono le api mellifere, in particolare quelle appartenenti alla sottospecie Apis mellifera ligustica, quella maggiormente allevata in Italia per la produzione  di miele, la più mansueta e produttiva.

Ci sono poi le api selvatiche, tra cui vi sono anche le api solitarie. Sono chiamate così perché si raggruppano solamente nel periodo dell’accoppiamento e non si prendono cura della prole: depongono le uova nei fori delle cortecce o dei muri, le sigillano e poi se ne vanno. Tra queste ci sono la Xylocopa violacea (un’ape gigante, chiamata ape legnaiola), Osmia cornuta e Megachile rotundata.

Sempre tra gli impollinatori troviamo poi i bombi, e anche di questi ve ne sono di vari tipi, come Bombus pascuorum, Bombus pratorum, Bombus terrestris.

Api a Monte Isola

A Monte Isola, le api trovano cibo quasi tutto l’anno.

Con le prime fioriture del nocciolo, a gennaio, l’ape regina si risveglia dal letargo invernale e insieme a lei le api bottinatrici, pronte a portarle i primi pollini e i primi nettari. Con l’arrivo del cibo e delle proteine l’ape regina può quindi iniziare a deporre le uova per fare nascere le nuove api che si occuperanno dell’alveare durante l’estate. Fino a novembre sull’isola le api troveranno cibo a volontà nel nettare e nel polline delle piante erbacee e arbustive dell’isola che fioriscono alternandosi tra loro.

Dopo il nocciolo fioriscono infatti il salice delle capre, il corniolo, il mandorlo, gli alberi da frutto (albicocco, cigliegio, melo, pero, susino), il ciliegio selvatico, l’agrifoglio, il maggiociondolo, la robinia, l’alloro, il tiglio, il castagno e per ultima l’edera.

Da fine febbraio fino all’autunno i prati e i pascoli sono un arcobaleno di fiori. Per primo compare il tarassaco, poi i crocus, la valeriana e tantissime altre piante (come ad esempio l’orchidea selvatica), fino alla mentuccia selvatica e alla centaurea.

E se tutte queste specie non bastassero, basta andare nei boschi per trovare i fiori degli ellebori, dei bucaneve e degli anemoni.

Le api: impollinatrici della biodiversità

Le api sono importantissime per il mantenimento della biodiversità perché permettono la proliferazione delle specie vegetali, la loro riproduzione e la loro diffusione.

Il rapporto tra gli impollinatori e i fiori è antichissimo, questi organismi si sono evoluti insieme. Perché ci sono i fiori? Perché le piante, nate prima degli insetti, hanno escogitato modi efficaci per utilizzare le api e gli altri animali impollinatori per i propri scopi. Con i loro colori e le loro forme attraggono le api, che, portando il polline da un fiore all’altro, permettono la fecondazione tra le piante. Di fatto, le api fanno fare l’amore ai fiori.

In cambio, come premio, le api ricevono il nettare.

Per di più sono anche insetti fedeli, tendono infatti a posarsi sulle stesse specie di fiori nel momento in cui le fioriture sono al loro splendore. Questo fa sì che vadano a fecondare più fiori nel momento in cui le singole specie di piante ne hanno maggiormente bisogno.

Questo meccanismo, chiamato tecnicamente “costanza fiorale”, tipico di Apis mellifera, permette alle piante (che sono organismi sedentari) di inviare il proprio polline anche molto lontano, verso individui geneticamente diversi ed effettuare così l’impollinazione incrociata: un fenomeno fondamentale per mantenere la varietà genetica nella stessa specie e incrementare la biodiversità. Anche le piante cercano di riprodursi con individui diversi, proprio come l’uomo cerca persone non consanguinee per procreare.

Grazie alla biodiversità presente, a Monte Isola è possibile allevare le api in modo stanziale, senza spostare le arnie seguendo le fioriture (pratica ormai molto diffusa). Questo porta benessere alle api, che in natura si spostano solamente quando sciamano alla nascita di una nuova regina.

Restando ad abitare sempre nello stesso posto, si abituano infatti all’andamento climatico della zona e riescono a realizzare degli incrementi demografici in previsione dei periodi di maggiore raccolta.

Api a Monte Isola

Ape chef: “pane delle api”, miele, nettare, melata, propoli.

Il polline è la parte proteica dell’alimentazione delle api. Dopo averlo raccolto lo stivano, lo pressano,  e lo fanno fermentare, lo acidificano abbassando il pH, proprio come si fa con i sottaceto o con la preparazione dei crauti, e lo tappano con una goccia di miele. Hanno inventato loro la conservazione dei cibi.

Questo alimento è detto “pane delle api” e serve per allevare le larve.

Il miele invece è il nutrimento delle api e deriva dalla trasformazione e disidratazione del nettare o della melata.

Il nettare è una soluzione acquosa e zuccherina prodotta dalle piante mediante i fiori per attirare gli insetti impollinatori. La melata è uno scarto ricco di zuccheri prodotto dagli afidi delle piante e che depositano sulle loro foglie. Questa sostanza talvolta contribuisce allo svilupparsi di muffe sulla pianta, riducendone la capacità fotosintetica. Cibandosi di questi scarti le api e gli impollinatori ripuliscono quindi le piante e le aiutano a restare in salute.

La propoli deriva invece dalla raccolta e la lavorazione della resina delle piante e viene utilizzata dalle api per mantenere pulito e in salute l’alveare grazie alle sue proprietà disinfettanti.

I cambiamenti climatici: tra siccità e temperature elevate.

Le api, come molti altri insetti, si adattano e hanno già vissuto milioni di anni superando numerosi cambiamenti climatici, anche più importanti di quello in atto. L’unica cosa che potrebbe metterle in pericolo è la velocità con cui i cambiamenti possono avvenire.

Al momento sono gli apicoltori a risentire maggiormente del problema. Quando c’è siccità, infatti, le piante entrano in risparmio energetico, producono meno nettare e quindi anche le api producono meno miele.

L’aumento delle temperature provoca inoltre degli sfasamenti temporali nelle fioriture. Negli ultimi anni ad esempio il tiglio è fiorito insieme al castagno. Temperature elevate in tardo autunno e prima dell’inizio dell’inverno possono provocare delle fioriture false, senza nettare, che indeboliscono la pianta che avrà meno nettare nelle fioriture successive. Questo è successo per esempio negli ultimi anni alla robinia (pianta primaverile) che a metà settembre è rifiorita.

Api in pericolo: il parassita Varroa e l’agricoltura intensiva.

Il grande pericolo per le api è l’arrivo dall’Asia del parassita Varroa, un acaro che indebolisce e infesta gli insetti causando molte malattie. Se le api asiatiche si sono co-evolute con esso e hanno imparato a proteggersi pulendosi l’un l’altra e staccandosi letteralmente gli acari di dosso (proprio come le scimmie si spulciano tra loro), quelle europee invece non lo conoscono e subiscono i suoi attacchi senza poter reagire. La Varroa ha così ucciso e messo a rischio molte colonie, soprattutto di specie selvatiche, e solamente gli apicoltori le possono curare e salvare da questo pericolo.

L’altro grande fattore che mette a rischio la vita delle api è la diffusione dell’agricoltura intensiva. L’utilizzo di agrofarmaci e soprattutto il ridursi delle aree verdi, fonte di nutrimento per gli impollinatori, sta infatti mettendo a dura prova la sopravvivenza di questi insetti, specialmente delle specie selvatiche, che non possono contare su un apicoltore pronto a rifornire di zucchero le colonie affamate.

Api e uomo vivono insieme e si aiutano da millenni. La società delle api è basata sulla sostenibilità, un concetto che va ben oltre l’altruismo, ma che invece investe nel bene comune, ora e nel futuro. Questa società è un esempio di economia di sussistenza, più fiori.

Il suono delle api: il ronzio a 430-440 Hz che rilassa.

Il ronzio delle api è un suono profondo che arriva alle viscere e che vibra alle frequenze di 430-440 Hz.

È un suono che rilassa alcune aree del cervello tra cui le camere ventricolari nel centro del cervello, che sono piene di liquido cerebrospinale, la ghiandola pineale, la ghiandola pituitaria, l’ipotalamo e l’amigdala.

Questo ronzio viene spesso associato al rumore rosa, che si pensa favorisca il rilassamento e il sonno.

Chi volesse sperimentare questa esperienza può recarsi in Slovenia (facendo obbligatoriamente tappa al museo dell’ape di Radovljica), patria dell’apiterapia, o nei vari apiari del benessere che da poco sono nati in Italia. Qui incontrerà dei luoghi dedicati all’apiterapia in cui è possibile ascoltare il ronzio delle api mentre si respirano i profumi balsamici della propoli.

Alveari a Monte Isola

Chi è Pierre Archetti

Pierre Archetti è un giovane apicoltore di Monte Isola e Studente di Scienze Agrarie e Forestali presso il polo UNIMONT dell’Università Statale di Milano del corso di laurea “Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano”.

La passione per le api nasce quando assaggia il miele prodotto dal nonno di un suo compagno delle superiori e scopre un mondo sensoriale a lui ancora ignoto. Inizia a leggere e a studiare tutto sulle api, sulla la produzione del miele e anche all’università svolge un corso teorico e pratico di apicoltura.

L’anno successivo incontra Ezio, il custode delle api, l’ultimo apicoltore di Monte Isola e diventa il suo aiutante. Impara così a prendersi cura delle comunità degli impollinatori: “le api non le allevi, si allevano da sole e vivono libere, possono uscire dall’arnia e andare a creare un alveare altrove, quando vogliono. Il compito dell’apicoltore è solo quello di prendersene cura, di custodirle”.

L’anno successivo Pierre trova uno sciame su un albero di fronte a una casa del borgo medievale di Menzino. Raccoglie lo sciame, lo mette in un’arnia e lo porta nei suoi prati e pascoli di Cure, un antico borgo di Monte Isola, vicino alle sue pecore.

Cresciuto e vissuto a Monte Isola Pierre Archetti si occupa delle 100 piante di olivo con cui produce olio e lavora nel salumificio di famiglia portando avanti la produzione dell’olio e del salame tipici dell’isola e il suo sogno è che anche il miele possa diventare un giorno un prodotto riconosciuto in tutto il mondo insieme alle bellezze dell’isola.

Pierre Archetti

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