Qual’è la capacità sonora degli oggetti? Quali sono i perimetri di dialogo tra cinetica e “cimatica”? Qual’è la portata nel reale dell’elettromagnetismo e dei suoi campi? Fausto Balbo si muove tra queste e altre domande attraverso costruzioni che inglobano retro-tecnologia, sorprendono acusticamente, creano corto circuiti ludico esperienziali.
L’esperienza dei suoni. Esperienze di vita.
Anthony Storr, psichiatra, psicoanalista e scrittore inglese, nel suo saggio Music and the Mind ha scritto: «Non riusciremo mai a scoprire con certezza le origini della musica umana; ciononostante, è probabile che sia nata dagli scambi prosodici con cui madre e neonato rafforzano il legame reciproco». Sposando la tesi di Storr possiamo quindi affermare che esistono suoni “ambientali” attraverso i quali formiamo le nostre esperienze acustiche e non solo e grazie ai quali iniziamo la nostra esplorazione di quella che, più avanti nel tempo della nostra vita, chiameremo musica. Balbo si ferma un passo prima della “musica” e da lì inizia la sua ricerca di interazione e meccanizzazione che lo porta a costruire opere che trovano nel suono la loro dimensione finale e nella struttura meccanico-elettronica il loro cuore pulsante.
Il suono dei passi sulla neve: l’opera al bianco.
E’ il caso di FB46 – Inverno. Un’opera in tecnica mista (94×20,5×20,5) che evoca, in maniera dolcemente ipnotica e surreale i passi sulla neve. La linearità e la bellezza della composizione creano qui il sottofondo necessario alla messa in funzione della costruzione che, a occhi chiusi, trasporta l’ascoltatore in un microviaggio del senso verso atmosfere algide che si creano insieme al ricordo particolare e unico del suono dei passi sul manto nevoso croccante, immediatamente riconoscibile per chi lo ha provato, almeno una volta, negli inverni alpini.
50 Hz: l’energia corre sul filo.
Con FB23 20Hz – 20,05Hz Presenze, Balbo si sofferma poi sui 50 Hz generati dalla rete elettrica che fornisce energia nelle nostre case e indaga gli effetti che tale frequenza, una volta riprodotta da un altoparlante, genera su limatura di ferro distribuita sulla superficie del riproduttore acustico. Le stalagmiti che si formano a causa dei due campi magnetici opposti risultano dinamiche e mutanti, in altezza e posizione. L’osservazione di questo piccolo universo in movimento, che avviena grazie a una lente d’ingrandimento che opera in tecnologia ottico-analogica, evidenzia la presenza del punto-osservatore e pone l’accento sul tema del chi-guarda-cosa così come sulla necessità di poter disporre di uno spettatore come elemento facente parte dell’opera medesima.
La mostra nello Studio d’Arte Valmore a Vicenza.
L’esposizione di Vicenza allestita presso Valmore, studio d’arte in Contrà Porta S. Croce 14 offre un’occasione unica per apprezzare, fino a fine giugno 2023, una selezione di lavori di Fausto Balbo potendone acquisire la presenza sia nel rapporto uno a uno sia nell’insieme generato dall’unione dei suoni delle costruzioni esposte. Un caos acustico più o meno ordinato che va oltre l’unione stessa e costruisce un pattern semiorganico capace di evocare ambientazioni e suggestioni forti e intense.
Dice Monica Bonollo, curatrice della mostra, “Resto sempre affascinata dalla vitalità dei suoni delle opere di Balbo” e sullo sfondo si fa sentire, in un frame sonoro inaspettato, FB65 Accadimenti (digitale-elettromagnetico-acustico) che in modo randomico e sempre differente genera suoni che s’inseriscono nello spettro acustico ambientale quasi al pari di una presenza umana.
L’incontro con Fausto Balbo.
ZoumAlp ha approfondito con l’artista alcuni temi che segnano i suoi lavori e li caratterizzano, unitamente ad alcune considerazioni sul senso dello sviluppo dell’arte, maturato in un contesto alpino.
ZA – Nelle tue opere è presente e ricorrente uno sviluppo verticale degli elementi, una sorta di collegamento terra-cielo. Da cosa nasce questa presenza in elevazione?
Anni fa, durante un “viaggio” con i semi di ipomoea violacea, ebbi un esperienza di fasce di energia che dalla terra mi attraversavano e si scagliavano verso il cielo e viceversa, una grande fascia luminosa con il suo suono, un fluttuare continuo di frequenze udibili e visibili. Nasce così, questa mia ricerca, nel tentativo di descrivere, rappresentare o reinterpretare quell’esperienza, vedere il tutto come un punto di congiunzione, un’antenna, il collegamento fra energie modeste e le grandi forze che animano l’universo. Un viaggio in continua evoluzione che si nutre sia della continua ricerca scientifica, sia della semplicità del vivere di un albero, con la linfa che da terra scorre in alto verso le foglie, verso il cielo.
ZA – Osservando la struttura dei tuoi lavori si percepisce la presenza dei numeri 3 e 5. A volte del 4. Forme tonde e quadrate si susseguono. Quali aspettative poni in questi valori e in queste forme?
Stai aggiungendo un valore alle mie sculture, pur vedendo quello che descrivi, la presenza dei numeri, per me non ha un significato particolare, specifico. Trovo molto interessante e stimolante osservare che nello spettatore possano generare un significato, fa parte delle diverse possibilità di interazione con l’opera. Quelle forme nascono spontaneamente dall’esigenza fisica, meccanica, dalla mia necessità di mettere in mostra l’impercettibile, l’insondabile ad occhio nudo. Cerco di progettare una struttura che mi permetta di creare un movimento per mettere in mostra suoni non udibili, o che mi consenta di arricchire armonicamente il suono di una semplice sinusoide, diffondendolo, per mezzo di un campo elettromagnetico, attraverso una lastra metallica. Anche la diffusione audio stereofonica, non per mezzo di altoparlanti, ma emanata da elementi risonanti, condiziona molto la struttura della scultura, possono essere due elementi, destro e sinistro, oppure 3, destro sinistro e centro e può continuare ampliando a doppio stereo, quadrifonia ed altre possibili combinazioni.
ZA – Sono gli elementi dell’opera a produrre il risultato sonoro o la ricerca di un suono particolare ti spinge a cercare gli elementi che formeranno l’installazione?
Direi entrambe le cose, posso partire dalla ricerca di un componente diciamo “risonante”, lo sottopongo a vari test audio con frequenze differenti, se il risultato mi soddisfa, l’opera si svilupperà attorno a quel componente. Quando i test non mi soddisfano o vanno in una direzione che non sento mia, intervengo sul componente, allungando o accorciando, cambiando spessore, modificando la posizione di ancoraggio o il punto di tensione fino ad ottenere la combinazione a me congeniale. Mi piace anche combinare suoni acustici con impulsi elettronici, ad esempio nell’installazione “Reliquie liminali”, presente alla mostra SonorAzione, il suono di campane eoliche, accordate fra di loro, si sposa con impulsi elettronici di onde quadre generati da due sveglie digitali modificate. Questa installazione è nella mia testa da diversi anni, nasce dalla combinazione di 5 opere differenti, 5 lavori nati con una propria espressione, un’identità autonoma ma modulare, opere costruite anche pensando ad un possibile valore espressivo di insieme.
ZA – Gli artisti Foley sono famosi per la loro abilità nel realizzare suoni ambientali registrati dal vivo capaci di creare la vera anima sonora di un film. Le tue opere raggiungono questo obiettivo: riescono a evocare immagini, come in un film, sonorizzandone la scena. L’opera diventa quindi un generatore audio-visuale che lavora in unione con lo spettatore. Ti riconosci in questa sperimentazione Foley?
Quelli che in italiano vengono definiti “Rumoristi” sono per me espressione di un’arte troppo spesso sottovalutata. Alcune mie sculture nascono con l’intento di creare dei paesaggi, invece di esserci una tela con su delineato un soggetto, nel mio caso, quel soggetto va immaginato attraverso i suoni, non ci sono limiti se non quelli della propria immaginazione. Si tratta di una sperimentazione a cui tengo molto e sulla quale voglio ancora lavorare e fare approfondimenti, come ad esempio sul rapporto con la meditazione, l’introspezione.
ZA – ZoumAlp indaga gli effetti della vita in montagna, il contatto con la natura, la possibilità della semplificazione dovuta alla necessità del meno, accolta con favore.
Nella tua esperienza, la vita in un ambiente alpino può essere considerata un generatore di flusso artistico?
Vivo in una piccola cittadina, Garessio, ai piedi delle Alpi Marittime, quando ero ragazzo contava circa 5.000 abitanti, oggi siamo poco più di 2.900. La vita scorre più lentamente che altrove, meno distrazioni, c’è più tempo per dedicarsi alle proprie passioni, coltivare interessi, godere della natura che ci circonda, pensare. Oggi la tecnologia ci permette di essere informati ed aggiornati in qualsiasi luogo, basta un po’ di curiosità e di volontà nel cercare, nel fare approfondimenti. Per me il territorio alpino racchiude un grande potenziale, “il buon vivere”, penso che l’ambiente alpino può essere un buon generatore di flusso artistico.
Chi è Fausto Balbo.
Fausto Balbo, classe 1970 è nato a Ceva e vive e lavora a Garessio, al confine dello spartiacque padano-ligure delle Alpi.
Nutre da sempre una passione per il suono e la costruzione di strumenti musicali e negli anni il suo percorso di ricerca l’ha condotto alla realizzazione delle attuali sculture sonore. Dopo un periodo di sperimentazione ed approfondimenti, ha infatti iniziato a sviluppare una forma espressiva sonora/ visiva in cui l’esecutore – il performer – sparisce lasciando il posto a sculture autonome. La presenza umana dà avvio al processo: da questo momento in poi sarà compito de “‘impercettibile” determinare la partitura, l’esecuzione, la performance.
Cura personalmente ogni passaggio della realizzazione delle sue opere; esteticamente si lascia trasportare da ciò che gli ispirano i componenti che costituiranno parte dell’opera stessa e dalle esigenze espressive fisiche-meccaniche dell’azione artistica programmata. A volte i suoi lavori nascono da bozzetti di studio delle proporzioni finali, altre volte Balbo li crea direttamente plasmando i componenti a disposizione.
Utilizza spesso materiale di riciclo come mezzo per documentare quello che ci stiamo lasciando alle spalle, riutilizzando vari generi con particolare attenzione alla “retro-tecnologia” di cui modifica la destinazione d’uso.
L’obbiettivo è la sopravvivenza, la rinascita e la metamorfosi del materiale di riciclo usato e insieme disvelare ciò che rimane celato nell’involucro di oggetti che quotidianamente ci circondano, con particolare attenzione alle energie emanate, alle onde elettromagnetiche, ai suoni.
Quanto appena descritto è la fase iniziale dell’ideazione; il passo successivo è quello di mettere in mostra “‘impercettibile, l’insondabile ad occhio nudo'”, portando il suono e l’elettromagnetismo a manifestarsi attraverso il movimento di altri elementi che interagiscono con queste forze. Suoni da noi non percepibili diventano udibili con l’intermediazione di elementi risonanti, un rapporto di causa – effetto dove cinetica e cimatica dialogano contaminandosi a vicenda.
A Balbo piace immaginare di miniaturizzare eventi legati all’esistenza, alla vita del cosmo e all’equilibrio imperfetto dove tutto funziona per probabilità, non per certezze. Con le sue opere cerca di stimolare lo spettatore ad una continua riflessione sull’azione delle forze invisibili della natura, sul sentire sinestetico, sull’importanza e la capacità di mantenere un atteggiamento ludico ed esplorativo nel rapporto con il mondo.
Per saperne di più.
Un grazie particolare a Monica Bonollo di Studio Arte Valmora – Vicenza – www.valmore.art per aver dedicato a ZoumAlp lo spazio e il tempo di una visita ad hoc alla mostra.